Dentro l'Ospedale, Bianchissima, in corso


La carta era leggermente plastificata, ma così vecchia che anche ciò che era liscio, era diventato più ruvido.
Sopra, c’era rappresentata una donna dalla pelle chiarissima, i capelli di un biondo sporco che le cadevano sopra le spalle.
Lo sguardo della donna era una commistione suprema di passione e dolore. Chi l’aveva disegnato, doveva essere un autore straordinario, qualcuno capace di tradurre in uno spazio così limitato espressioni che emanavano simili a radiazioni dall’immagine pallida, dal giallore vecchissimo del santino. La figura era ricoperta da una specie di telo che le nascondeva a malapena i seni, le parti intime celate con un artificio. Quel candore, quell’estasi erano contrastati dai segni che la flagellavano. La carne della santa appariva orribilmente straziata, ricoperta di buchi osceni che le scavavano l’adipe, mostrando parti ormai infette, orrende cancrene, crateri carnosi e infiammati.
L’immagine, aveva una luminosità sua, e sembrò pulsare quando la vecchina la fece sparire nella conca delle mani dello zio, stringendoci sopra le sue, coprendola d’ombra e facendogli scivolare sui dorsi una carezza stremata, carta vetrata, un po’ calda, sulla sua pelle indolenzita di febbre.