La malattia - Sepolta - Studi




Si svegliò senza dolore.
Per sedici anni, la ragazzina aveva conosciuto soltanto quello. La malattia, la sofferenza l’avevano portata a superare le soglie della percezione, iniziandola ai misteri della devastazione, facendole desiderare la morte, facendole soppesare più volte il rasoio come quella volta che l’uomo bussava sempre più forte, che poi aveva sfondato la porta del bagno e l’aveva presa a schiaffi, che dopo l’aveva abbracciata e si erano messi a piangere insieme.
E adesso non c’era più. Ci mise un po' per capirlo. Sentì vuoto alla pancia, poi in faccia. Si immaginò come un osso di uccello, un involucro con niente dentro. È andato via, pensò. Ma dove?
La testa le prese a girare, gli arti si intorpidirono tutti mentre dallo stomaco le risaliva una massa di angoscia. Era come se la malattia la avesse definita fino a quel momento, come l’avesse scolpita, dandole forma, lasciandola esistere. Adesso davanti a lei si estendeva una vastità amorfa. Un niente che cadeva come le cadevano le bende di dosso, che poi cresceva come le pupille che si dilatavano davanti allo specchio, riflettendo infinite forme di lei che si riflettono più infinite dentro lo specchio, la sua pelle diafana priva di pustole, le labbra del colore di un verme, però senza croste, labbra che forse qualcuno avrebbe potuto baciare, magari vampiro, magari l’uomo, magari le avresti baciate anche tu.