Sotto alla pioggia e alla devastazione, sprofondato nell’oscurità della notte, Filoverme giaceva. Il suo corpo affondava leggermente nel fango che gli freddava la pelle, a vederlo poteva sembrare un cavo gettato nel pantano, una cosa confusa come dei ciuffi di capelli luridi mischiati a una cartilagine di qualche genere.
Le braccia
si estendevano fini e rachitiche, ricoperte di vene che affioravano gonfie e
scurite, la schiena era una massa ossea dura e allungata che poi si stringeva
in un modo quasi impossibile. A parte la testa e le estremità degli arti, la
cosa che si notava di più era il cuore, grosso e ipertrofico si dilatava per
poi stringersi privo di ogni difesa, coperto solo da una membrava di pelle che
lo nascondeva appena.
La pioggia gli
martellava la carne e la fanghiglia si alzava e con lei sembrava alzarsi anche
il buio, la notte da cui aveva scelto di farsi ingoiare, aveva freddo ed era
stanco, di una stanchezza da cui non ci si può più rialzare.