Le stelle, Bianchissima, estratto

 Piano piano, i ragazzini e le ragazzine iniziarono a raggrupparsi, a chiudere gli occhi e alzare il mento verso il buio su in alto, a cercare altre mani.

Bianchissima si ritrovó accanto a Scabbiosa, una ragazzina con una malattia della pelle terribile, al suo fianco vide che Gnomo si teneva in disparte, era imbarazzato, forse terrorizzato, gli porse la sua mano bendata, le dita che fuoriuscivano gialle dalle garze sdrucite.
Vampiro indietreggiò, vagò tra i bambini con gli occhi chiusi e alla fine si trovò accanto a Gnomo, lo studiò, poi gli prese la mano pelosa.
Si ritrovarono così tutti lì, sul tetto dell’edificio C dell’ospedale, la città ai loro piedi come una distesa infinita, le mani dentro le mani che si sudavano contro, tremavano, si grattavano i palmi.
Le vedete? Domandò Faccia di teschio.
Cosa? Disse qualcuno.
Come facciamo a vedere con gli occhi chiusi? Domandò un altro.
Io le vedo, squittì Rachitica, una ragazzina che sembrava un uccellino di quelli che muoiono cadendo dal nido.
Cosa vedete? Domandò Braccino.
Anch’io, disse esaltato Ciclope, un ragazzo a cui avevano asportato un occhio per una infezione del nervo ottico.
Polletto aprì gli occhi, si guardò intorno, di cosa parlate? Starnazzò agitato. Cosa vedete?
Una ragazza che sembrava piccola ma aveva vent’anni lo osservò per un attimo, gli fece cenno col mento indicandogli il cielo, sorrise e poi chiuse ancora gli occhi.
Quando Polletto si mise di nuovo in posizione, gli venne quasi un infarto. Dentro alla testa, aprendo delle altre palpebre dentro al cervello si ritrovò a contemplare un miliardo di stelle.
Una galassia sconfinata si contorceva nel cielo, stelle mai viste, costellazioni impensabili, puntini di pura luce circondati da nebulose violacee, gialline, masse di blu intenso, colori metallici e oscurità assolute.
Sono… sono… disse una voce femminile.
Sono bellissime, disse un pigolio dal fondo del gruppo.
Bianchissima si riempì di gelo, sentì la mano viscida di Gnomo stringere forte la sua, come se si reggesse, come quel cielo potesse risucchiarlo, catturarlo dentro alla sua atmosfera. Il dolore, la sofferenza, il suo strato di solitudine che adesso prendeva forma come un sacchetto in testa che ti toglie il respiro, si disciolse dentro alla vastità di quel cielo, liberando emozioni purissime, masse incrostate dentro al torace che si dissolvevano come il calcare in quelle pubblicità delle pastiglie per la lavastoviglie. Un grande gelo la accolse e poi diventò un grande calore, un senso di libertà che la terrorizzava.
Un vento leggero attraversò i loro corpi, un tremore, simile a un brivido gli scivolò sulla pelle. Sotto a miliardi di pianeti e triliardi di stelle, continuarono a tenersi per mano, se le strinsero ancora più forte.