L'aldilà - Bianchissima, Uduvicio Atanagi, in scrittura

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Gli sembrò, al lato della strada, di vedere una processione di signore eleganti, scivolavano in fila, i volti troppo bianchi, come fossero coperti di gesso, i movimenti come non fossero veri, qualcosa che prova in tutti modi a sembrare umano, sempre sull’orlo di disvelarsi, di mostrare un dettaglio sbagliato, un’orrenda stortura. Poi la sua faccia prese a mutare dentro al riflesso del finestrino, si contorse, fino a diventare quella di sua sorella. Sentì un brulicare dentro alla pancia, sentì Bianchissima contorcersi sulle sue gambe, stringergli la maglia dentro alle dita. Si ritrovò allora immobile, con la paura che scomparisse, ad osservare quegli occhi che gli sembravano vivi, gli zigomi aguzzi e taglienti, come li avessero scolpiti con delle picconate, e quei dentini davanti che non le stavano mai dentro alle labbra, che provava sempre a nascondere ma uscivano fuori. 

Carezzò il vetro, e per un istante non gli sembrò vetro ma pelle, una carne fredda e umidiccia, con un tepore dentro, che si sentiva appena, come quando da piccoli giocavano nel cassettone del letto di camera sua. Nel buio assoluto, un bagliore si accese accecandolo. Anche il responsabile del progetto si parò gli occhi, iniziò a rallentare, sterzò, dirigendosi verso quella fonte di luce che galleggiava nel vuoto, i fari che in certi momenti si affievolivano, quasi lo spettro luminoso non funzionasse più bene, o un telo di qualche genere ci passasse davanti, facendo ondeggiare la realtà, distorcendola.