Il lutto, il dolore, la santità - Bianchissima - Uduvicio Atanagi - In corso


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Fu il pelato il primo a parlare, lo disse con un filo di voce, lanciando un'occhiata dal basso all’alto ai suoi due compagni.

Ma è giusto così, disse. È così che funziona, siamo qui per pagare qualcosa.

Il baffuto lo guardò a lungo, e sembrò dai suoi occhi che avesse capito qualcosa, che con le mani avesse afferrato una verità che allo zio ancora sfuggiva, perché lo zio adesso vedeva solo l’oscurità, e il dolore, come una distesa infinita che permea ogni cosa, un telo spesso, pesante, di quelli che puzzano e bucano, che schiacciava tutti, li soffocava, dal quale non si poteva uscire, e come un mare sbucavano solo le impronte delle bocche aperte, in cerca di aria, con la gola che si riempiva di peli, fino a tapparsi, e gli urli che uscivano solo smorzati, che si sentivano appena, soffocati da quella copertona di nero.

Tutto era perdita, fallimento, sconfitta, e dove finiva il reame del lutto, iniziava quello degli agnelli e dei loro aguzzini. Vedeva adesso gli occhi dei bambini, i nasi mocciosi, gli sguardi terrorizzati ormai privi di luce, sentiva adesso la loro sofferenza, che come un segnale si connetteva a tutte le sofferenze del cosmo, al lamento disperato della mucca impaurita che vede il figlio sgozzato al macello, che aspetta il suo turno, all’animale che morde le sbarre della sua gabbia lurida, che non capisce perché gli fanno del male, alle bestie mangiate vive, lasciate mezze sbudellate nel bosco, senza una zampa, le interiora che si riempiono tutte di insetti.

Sentiva la fame dei predatori, lo spavento triste delle prede, la contorsione schifosa delle anime degli omoni, degli assassini, dei torturatori, la trasformazione degli uomini in mostri, lo spezzarsi di innumerevoli ali, il modo in cui il candore, diventava buio e putrefazione. E gli sembrò di essere cieco. E lo fu.