Sepolta

misteri horror leggende creepy

Ben oltre il buio di Mostruosa, oltre i paesini, le radure, quei boschi neri, dove certe volte qualcuno sparisce, dove se scavi trovi scheletri e teschi di chi sa quali omicidi e di quali mostri, dopo quella strada nebbiosa dove gli alberi incombono come dita stregate, dove se guardi trovi dei manichini di iuta e di paglia che sembrano ammiccare, guidarti da qualche parte dove non devi andare, superati i villaggi delle megere, quelle sparute comunità di monaci che sembrano spettri, intenti mattina e sera a coltivare terre aride e morte, e poi avanti, per quei paesini dove i ragazzi sono cattivi, che sembra che ringhino, che invece del cazzo c’abbiano dei coltelli, arrivavi finalmente a Sepolta.
Si diceva che la città fosse stata eretta sul cadavere di una santa. Era la sua putrefazione a nutrire i campi, era lei che faceva sgorgare l'acqua fresca, scurissima, dalle falde sotterranee, acqua che gonfiava fiumi e ruscelli, facendo crescere alberi dalle cortecce robuste, inondando la notte di quell'odore dolciastro di muschio e di sperma.
Nelle versioni più devote, la santa giaceva immacolata nelle profondità della terra, giù, sotto, ad irradiare la sua santità verso l’alto.
C’erano però altre versioni della storia, che le sentivi magari orecchiando una discussione in quel vicoletto vicino alla chiesa, oppure nei pressi delle ville dei nobili che proliferavano litigandosi la paternità della beata, in quelle storie, bisbigliate all’orecchio, soffiate via dalle bocche che succhiano e curano, la santa diventava un corpo immenso, una carcassa ciclopica sulla quale Sepolta si ergeva. C’erano dei ragazzini che giuravano di averne visto le estremità nel fitto del bosco, la punta di un dito che sbucava fuori da una radura, un’unghia del pollice calcificata dentro una pietra, ancora un labbro che tutti lo scambiavano per una collina franata e poi la punta del naso, il capezzolo enorme, il seno pieno sperduto oltre i laghi.
Altre voci ancora, quelle più nere e crepuscolari, quelle che sussurravano le vecchie davanti alle luci rossastre delle bettole, o assieme, tutte schiacciate, le gobbe che sembravano gusci, che sembrava ci si portassero la vita dietro, dicevano che c’era anche un posto che conoscevano loro, che gli raccontava la nonna, la bisnonna, la trisavola, la Rita, la Desolina, la Virginia, la vecchia Adelina, una grotta buia e dentro lucente, bianchissima, con le pareti che sembravano rivestite di latte, ma di un latte luminescente che ti guidava, una fosforescenza, che si rifletteva sul perla, sul liquido, su quello smuoversi vivo di sfere, sulle distese di uova frementi che si inoltravano per le caverne, che poi sprofondavano giù per i tunnel che non lo so chi li aveva scavati, e non lo sanno nemmeno le vecchie.
Sepolta, studi.