Mongrol


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Ti dà fastidio la mia faccia? 
Mongrol si sporge in avanti, è nervoso, mostra i denti che gli schiacciano il labbro, i canini che sbucano grossi, che sembrano zanne. Dicono che Gordo se lo portasse dietro ovunque e io penso a Gordo, penso alla sua gigantezza, alle dita che sembravano tutte dei pollici, penso agli anelli, al bastone, al rasoio. Dicono che gli faceva ammazzare quelli scomodi, quelli che protestavano, che chiedevano il salario più alto, che delle volte li ammazzavano per divertimento. I nomi glieli faceva il sindacato, ci lavoravano insieme, finivi sulla lista e Gordo chiamava Mongrol che ti portava a casa sua, che ti iniziava ai suoi giochi.
A cosa stai pensando? Mi chiede ringhiando. Tira fuori il coltello, la giacca di pelle cigola, sembra che strilli sul corpo enorme che la deforma. Sbatte la lama sul tavolo e dice, se vuoi ti disegno una faccia nuova, se vuoi ti faccio un po’ come me, poi fa una cosa che forse è un sorriso, il labbro leporino gli ciondola, mostra l’orrore del naso, la gengiva, il biancore dell’osso.
Sento l’odore di bestia che emana, sento il potere, la nube nera che lo circonda di cui lui è la punta, la spada.
Ho caldo alle cosce, puzzo anche io, mi sono pisciato addosso e lui lo sente, lo annusa e gli piace, forse l’ho fatto quando è arrivato, quando si è messo a sedere e ha iniziato a ringhiare.
Vorrei alzarmi e correre via, ma mi prenderebbe, mi spaccherebbe le braccia e le gambe, mi spaccherebbe tutte le ossa e poi mi farebbe quei giochi. Sento paura, sgomento, terrore, eppure me lo immagino quella notte, quando ammazzarono Gordo. Lo immagino grosso, curvo, mostruoso mentre lo abbraccia, lo stringe, mi sembra di ricordarlo, lo vedo che rufola, gli lecca la faccia, il pelo gli si impregna di sangue, lo trascina, lo scuote per vedere se è vivo, le lacrime che gli escono dagli occhi bovini, lo vedo che si strappa i capelli, ulula urla, che dicono quella notte si svegliarono tutti i cani, presero a mordere, ad attaccare i padroni, che li dovettero ammazzare per tutto il paese.
Che dicono che quella notte Mongrol continuò a urlare fino al mattino, e i cani con lui anche mezzi morti, anche mentre li bastonavano, col cranio spaccato, il cervello, la lingua che penzola, la voce che si mischiava alla sua, che quando guaivano sembravano uomini, sembravano Mongrol, come gli avesse preso la gola, le lingue, i polmoni, come ci avesse fatto le sacche per metterci dentro il dolore, che gli servivano degli altri cuori perché il suo straripava.