E poi pianse, pianse in un modo gigantesco, insopportabile, in quel modo in cui piangono certi dei, Dio, tutti gli esseri immensi.
Pianse così forte che gli alberi si sentirono male e iniziarono a tendere i loro rami
verso di lei scricchiolando, violandosi i corpi spezzandosi tutti e storcendosi.
Il dolore le usciva dalla voce, dagli occhi, dalle narici piene di moccio e di sale, inondò l'aria, emanando con una forza tale che tutti gli animali, predatori e prede, e insetti, e
vermini e formiche, si avvicinarono annusando una sofferenza così assoluta che non potevano
razionalizzare, che li spaccava dentro portandoli a urlare, a miagolare a
frinire a grugnire fortissimo.
E mentre Pidocchiosa buttava
fuori tutto lo sgomento, i litri infiniti di liquame e dolore che aveva
accumulato per lunghissime notti, mentre si tirava i
capelli fino a strapparseli e la testa le si imperlava coronandosi di macchie rosse di sangue rossissimo, allora dal bosco si udì fuoriuscire un rombare. Un suono che era massa e legione, un suono fatto di innumerevoli voci, voci di
insetto e voci di talpa, voci di falena e di grillo, voci di cane, di lupo di
bestia, voci urlanti e strazianti e straziate, che rotolarono grosse per la vallata, travolgendo
Mostruosa, arrivando a echeggiare fino alle montagne che affogavano l’aria,
l’universo, l’amore, l'ultima traccia dell'ultima luce dell'ultimissima stella. Dove poi esplosero disperdendosi da tutte le parti, impregnando la terra di minuscole cose, di sangue, batteri, vagiti, forme assolute che contenevano dolore purissimo, la primitiva forma essenziale che avrebbe generato la vita.