Fantasmi 3

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Quello che si scopava mia madre, quello che poi è diventato praticamente mio padre una volta mi ha raccontato delle tazzine di caffè.
Tua madre mi leggeva le tazzine di caffè, mi ha detto mentre mi preparava la colazione, me le leggeva quasi ogni giorno e prediceva cose meravigliose per me e per noi due, mi calmava, mi rendeva felice, ero entrato in un sistema dove le tazzine mi permettevano di capire ogni cosa, ogni mia ansia, ogni mio dubbio veniva fugato perché le tazzine dicevano così. A volte litigavamo e allora io dicevo, sì ma la tazzina! E allora lei sorrideva e i suoi occhi diventavano degli abissi scintillanti e credo che lì vedessi qualcosa, vedessi la forma dell’amore, la percepivo in una specie di assenza che diventava una presenza, un mare che ti sembra di conoscere bene, un mare che sognavi da quando eri bambino ma non ti ricordavi di aver sognato.
Una volta ho dubitato delle tazzine e allora dalla volta successiva lei ha iniziato a farle vedere anche a me, c’erano immagini nettissime, era tutto davvero lì, ero sicuro, sicurissimo.
Scoprii solo anni dopo che le disegnava lei, mi preparava una tazzina, ogni giorno, mi preparava tutto perché rimanessero solo le immagini che voleva lei, per rendermi felice.
Quello che si scopava mia madre è rimasto a guardare nel vuoto, mi è sembrato di intravedere i suoi occhi scintillare, le guance farsi umide, mi sono voltata, il mio cuore batteva fortissimo, allora mi sono immaginata mamma da sola in cucina, mamma che prepara le immagini con un’eleganza sublime, concentrata e bellissima, mamma che guarda davanti a sé, che stringe le labbra, che sorride e sgrana gli occhi, in una calma infinita.

Quando me la immagino, quando provo a ricordarla, quando la immagino adesso, la vedo su di un treno che va in una direzione che io non posso seguire o capire, a volte provo a urlare, ho la sensazione che si volti, che accenni a guardarmi, a volte ho la sensazione di non averla mai conosciuta e allora ripenso alle tazzine, la vedo, provo a imitare i suoi gesti, il modo in cui si doveva muovere, quell’amore, quel mistero, quel qualcosa che doveva essere ovunque, in ogni centimetro, di lei.