Lo zio e la donna dopo la distruzione - Bianchissima, Uduvicio Atanagi, in corso

Riflesso nel vetro, ad angolazioni impossibili, si vedeva il profilo della donna, lo sguardo fisso in un punto, il corpo irrigidito, storto, per stargli lontano. La vide apparire e scomparire sotto a lampioni sbilenchi, accendersi di rosso davanti all’insegna al neon di una tavola calda sperduta, poi scomparire di nuovo, lasciando solo l’immensità nera che adesso era il mondo.
Faceva ancora buissimo quando si accorse della mano poggiata sopra alla sua. La donna continuava a fissare la strada, ma in un gesto impercettibile, lento, si era posata sulle sue dita che stringevano il cambio.
Si ritrovò a deglutire, l’aria che gli mancava.
Si sentì invadere da una malinconia estrema, un senso di tragedia e disperazione. Rivoltò la mano, rovesciandola come un insetto, le dita nervose, terrorizzate, in cerca di appiglio, di agganciarsi alle sue. La strinse forte, senza provare emozioni, nessuna gioia o calore. Continuò a stringerla sentendo gli occhi che si impiastricciavano, il setto che pizzicava, le prime gocce di moccio che illuminate dai vacui lampioni si affacciavano dalle narici, gli penzolavano dalla punta del naso.