Lo zio e il custode vanno a prendere l'archivista - Bianchissima, in corso

“Lo disprezzava, fin nel profondo, gli faceva uno schifo paragonabile solo a quello che poteva provare guardando uno specchio. Era come se il custode fosse la forma completa di certi suoi istinti, una figura intollerabile che gli scatenava un rigurgito dentro.
Eppure, quella vicinanza oscena, quel grattare sempre più insistente con il quale adesso si faceva sanguinare la pustola dietro all’orecchio, quegli sguardi servili dal basso verso l’alto, seguiti da un sorriso da bimbo che faceva prima di sistemarsi gli occhiali giganti, dentro allo zio provocavano anche una cosa più luminosa, una sensazione difficile da descrivere ma che gli dava un qualche conforto, come se fossimo stati creati per quello, per creare legami, di qualsiasi genere fossero, gettare delle corde nel vuoto, sperando che qualcuno ne prendesse una, che la usasse come un appiglio, se la legasse in vita, e magari ci aiutasse ad emergere pure noi, a non affogare.”