Le tombe




Quando tornavamo a casa sporchi, luridi, con addosso l’odore di morte, di solito i nostri genitori si arrabbiavano.
La mamma mi proibiva di tornare al cimitero, mi diceva che suo nonno le aveva detto che una volta sua madre le aveva detto che se andavi troppo al cimitero prima o poi i morti ti sarebbero venuti a cercare in casa o nei sogni o nei campi o a tirarti le lenzuola mentre dormivi, oppure saresti diventato direttamente te un morto, un giorno ti svegliavi a bum! Eri dentro una bara o sotto la terra oppure eri a casa tua ma eri morto e ti cadeva il naso e i denti e i capelli.
Di solito poi mi mandava a letto senza cena o mi faceva mangiare le verdure più puzzolenti che aveva, altre volte il babbo mi dava un ceffone e mi diceva, coglione non ci andare mai più e lascia stare le anime di quei disgraziati e poi stringeva il pugno e me lo poggiava sulla fronte per farmi capire che mi avrebbe spaccato la testa.


Nel complesso a me andava piuttosto bene, perché quando andavamo al cimitero e venivamo scoperti, per qualche giorno Sebastian Barsoldi non si vedeva più in giro. Però la notte da casa mia si sentivano delle urla, arrivavano dalla villa Barsoldi, urla ritmiche, di una precisione chirurgica, seguite da un suono affilato di frusta che rimbombava per tutta la valle. Io mi affacciavo alla finestra, annusavo l’aria, le stelle, poi annusavo le urla di Sebastian Barsoldi.