Le notti si susseguivano nere sopra la casa che
impercettibilmente scendeva ancora più a fondo.
La terra deve essere marcia, aveva ipotizzato lo zio. Oppure
le fondamenta, oppure qualche bestia le sta mangiando, qualche tipo di insetto,
di ortica.
Era una delle discussioni che si svolgevano con i vicini,
discussioni fatte un tempo col padre del ragazzino mostro, discussioni che
finivano sempre in silenzi, nell'osservare dubbioso di quella struttura
sbagliata.
Mi fa schifo, aveva detto una volta lo zio. Mi fa schifo.
Aveva poi cominciato a colpire il muro con una vanga, lo
aveva colpito fino a sfinirsi, fino a
farsi male. In quello scatto, in quella violenza, qualcosa dentro di lui era
emerso, o era solo diventato più chiaro. Un senso di vomito e malessere, un
senso di oppressione e orrore che lo aveva riempito, impregnando il suo sangue, la sua anima.
A volte, prima di andare a lavoro usciva fuori, annusando
l’aria che aveva l’odore del freddo. Il bosco allora gli si manifestava
selvaggio, come se il buio, in quella gola, fosse più buio del buio. C’era
qualcosa di splendido e qualcosa di mostruoso in quell'ambiente. A pochi
chilometri da Lucca, il paese, e in particolare la gola dove si ergeva quella
casa, sembravano cancellare ogni segno di civiltà. Senza voltarsi, rivolti
verso le braccia tremanti degli alberi, quel luogo poteva far pensare al mondo
prima del mondo. Una realtà virginale e violenta, la natura più dura e crudele,
dove le prime forme di vita dovevano avere lanciato, simili a urla, i loro primi vagiti.