La nostra conversazione,
il nostro riscoperto amore venne bruscamente interrotto dall'ingresso della zia
nella stanza. Entrò e quando entrò, vidi il suo volto prima farsi adirato, poi
calmarsi lentamente, mutare in uno stato di shock e meraviglia, smorfiarsi,
cambiare fino a diventare un’espressione di gioia, una luminosità nuova.
Aveva visto la nonna,
aveva visto i suoi occhi e probabilmente non vedeva quegli occhi da almeno
dieci o venti o cento anni. La nonna era la nonna, era sua mamma, per un minuto
o dieci secondi o un istante, la bambina zia aveva incontrato di nuovo la
madre. Non quella forma pazza e pericolante, quel cumulo di macerie umane fatto
di grida di terrore che gelavano il sangue degli inquilini nel cuore di
innumerevoli notti. Sua madre, mamma, mammina la sua forma più pura. Una
creatura che sembrava uscita da un bosco fatato o dagli sterili camici di un
manicomio psichiatrico, la dottoressa che aveva portato capelli corti e abiti
mascolini, che aveva fatto scintillare quei suoi occhi di gioia, di pianto,
di malinconia. Una figura lunga e solida, una donna che aveva cresciuto due
figlie e un figlio da sola, una donna forte e dura che era parsa per un tempo
indefinibile come una statua d’acciaio, un colosso incrollabile, che però poi era crollato, come crollerebbe un mucchietto di sabbia, o come la cenere, quando vola via soffiata dal vento.