Il giardino
Il giardino credo di averlo visto fin da bambino.
Come di sfuggita, una forma vista e subito dimenticata, un santuario gelido che
si intravedeva sulla strada che percorrevamo tutti per tornare a casa, come il ricordo di un sogno, una cosa che ti
sei scordato e che ti sei dimenticato anche di esserti dimenticato, ma che è lì
presente, in una forma evanescente e fantasmatica come una specie di ombra.
Il giardino si intravede da una grata di pietra, devi
fermarti a guardarlo per notarlo, e allora lui si mostra come se si disvelasse
pietrificato nella sua decadenza naturale, nei suoi alberi tagliati in modo
rozzo, nell'erba arida e grigiastra, nelle grosse mura di pietra che sembrano
appartenere a una realtà sbagliata.
Credo che io, anzi tutti noi, abbiamo dimenticato il giardino
per un lunghissimo tempo. In qualche modo però l'esistenza del giardino ha
continuano ad agitarsi come un'anguilla nera sotto la superfice del nostro
pensiero o dell'illusione di tale pensiero fino a riemergere in maniera
travolgente e andarsi a collegare ad un tempo seppellito e nero, un tempo
pietrificato dove tutti noi siamo lì, immobili, estasiati e terrorizzati,
paralizzati dalla meraviglia, ad attendere qualcosa con occhi bramosi e bocche spalancate da un orrendo stupore.
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