Sto cercando mia madre oppure sto
scappando, oppure sto scappando e cercando mia madre o forse mia madre sta
cercando me e io sto scappando da lei.
Ho passato ore ed ore immersa in
mezzo alle sue cose, mi ricordo l’odore dei suoi trucchi, il suo phard con l’odore
fortissimo di plastica e polvere, la sensazione sulla pelle, il suo rossetto
che mi scivolava sulla labbra dove le sue labbra erano passate innumerevoli
volte, come dei baci, innumerevoli buonanotte che non mi ricordo più. Ho
passato ore e giorni ad indossare i suoi vestiti, a truccarmi gli occhi come se
li truccava lei, ho indossato i suoi cappelli e i suoi foulard, ho provato ad
indossare il suo cuore ma mi è sembrato che mi stesse grande, che mi scivolasse
di dosso, che mi facesse male.
Lo facevo di nascosto, lo facevo
mentre nessuno mi vedeva, lo facevo di nascosto anche da me stessa. Mi lavavo
con l’acqua bollente, toglievo lo smalto nero e mi ripulivo il viso, mi
spogliavo completamente ed entravo a piedi nudi nella sua stanza. Tutto era
rimasto immobile, la sua stanza era rimasta un punto fermo nel tempo assieme al
suo vuoto, alla sua presenza che diventava un’assenza, la sensazione che lei
fosse stata lì, la sensazione che lei fosse lontanissima.
È successo quando sono rimasta
sola, è successo in certi giorni nerissimi dove anche l’ultima piccola luce che
cercavo di afferrare era una luce nera.
In quei giorni ho letto le sue
lettere, i suoi diari, ho cercato di capire i suoi segreti, ho decifrato le sue
parole in codice, ho inventato nuovi codici per illudermi che certe volte forse
parlasse di me, ho provato a pensare come lei, ad essere lei.
Le sue scarpe mi stavano grandi,
mentre le indossavo pensavo al calore dei suoi piedi che erano stati lì, ho
pensato a tutti i suoi passi, ho immaginato a dove potesse aver camminato, a
quanti chilometri potesse avere percorso, mi sembrava di sentirla, vicina, come
quei frammenti di ricordi d’infanzia, quelle scene che passano che a volte
ritornano forti come fossero impresse sulla retina, il suo sorriso, il tono
della sua voce, il modo in cui mi toccava, i nostri confronti, la mia rabbia
stupida, il modo in cui diventava seria e poi mi sorrideva ancora.
Le persone sono come delle
scatole piene di cose che non capiremo mai, le persone sono come degli universi
complicatissimi di cui vediamo solo una piccola nebulosa, ho provato a guardare
dentro di lei, mi sono venute le vertigini e devo essere caduta, mentre cadevo però
avevo la sensazione di non cadere mai, come mi tenesse ancora per mano.
Non abbiamo mai capito perché sia
partita, non ha lasciato niente, non ha detto niente, non si è portata dietro
niente, solamente il suo profumo, forse perché la possa riconoscere, forse
perché un giorno camminando in qualche strada in qualche parte del mondo io
possa sentire il suo profumo, mi volterò e la vedrò passare stretta dentro al
suo trench color kaki, le sue gambe eleganti faranno risuonare i tacchi in un
ticchettio veloce sull’asfalto, mi avvicinerò cercandola in mezzo alla folla,
ad un certo punto la vedrò ed il mio cuore inizierà a battere fortissimo,
serrerò i pugni, d’istinto proverò a colpirla, la mia mano si fermerà, mi butterò
tra le sue braccia senza chiedere niente, cercherò di trattenere le lacrime
mentre lei mi accarezza i capelli in quel modo duro e dolce che aveva solo lei,
finirò per piangere, la stringerò fortissimo come se stringendola potessi non
perderla mai più, come se potessi stringerla così, per tutta l’eternità.