Fantasmi 4

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Quando mio nonno stava morendo io non sono riuscito a guardarlo negli occhi, cioè l’ho guardato ma ho distolto subito lo sguardo perché sapevo che stava morendo e lo sapeva anche lui e io non sapevo se lui avrebbe letto che io sapevo che stava morendo o forse non ce la facevo io a guardarlo negli occhi perché quello che i suoi occhi mi dicevano mi avrebbe distrutto.
Di mio nonno mi ricordo i capelli bianchissimi, mi ricordo la pancia e la canottiera e mi ricordo che disegnava delle linee di luce, nella notte con la sigaretta accesa che bruciava nel buio e c’era l’odore d’estate e le lucciole che se le catturavi e le mettevi sotto un bicchiere la mattina dopo ti portavano i soldi che in realtà ce li metteva lui, che in realtà le lucciole le liberava perché non soffocassero.

Di mio nonno mi ricordo la pancia, aveva una pancia gonfissima, mi ricordo quando l’ho visto morto, mi ricordo che c’ho appoggiato la testa sopra, era morbida, troppo morbida, era come se si fosse sgonfiata, le lacrime scorrevano dalle mie guance fino a lui, come se il mio corpo avesse trovato un modo per salutarlo che io non ero riuscito a trovare. Non avevo mai visto un morto prima di vedere lui, poi ne ho visti tanti, conosciuti e sconosciuti, ho pregato per morti di cui non sapevo nemmeno il nome, portandogli i fiori quando facevo il fioraio, e ogni volta ad ogni morto ho ripensato sempre a mio nonno e a quando per paura di vederlo sparire non ho avuto il coraggio di guardarlo.

Quando mio nonno ha perso sua moglie doveva avere nemmeno trent’anni, ha passato ogni giorno della sua vita a portarle i fiori, credo che ci parlasse, credo che parlasse con la lapide o con la foto, credo che ci parlasse sempre anche la notte anche nella sua stanza fredda che profumava di incenso, di quell’odore che certe volte ritorna nella testa o nel naso.
Dopo di lei non ha avuto altre donne, l’ha amata per sempre anche se lei non c’era più.

Adesso lo vedo, vestito bene la domenica mattina dopo la colazione, sento l’odore dell’erba, lo scricchiolare leggero del ghiaino dove passavamo le nostre giornate, vedo la sua espressione che cambia, al cimitero c’è odore di muschio e di ortiche, un odore fresco e triste, un odore di amori perduti, quando cammini, quando guardi le foto a volte ti perdi dentro occhi mai visti, mi piacciono le tombe condivise, mi piacciono le foto di famiglia che ingialliscono nel tempo nonostante il tempo. Mio nonno porta i fiori come una medaglia, cammina piano, con un passo fiero che cerca forse di nascondere il peso della gravità, il peso del dolore che se portato con abbastanza forza diventa una forma di stabilità. Io gli sto vicino devo avere dieci anni o anche meno, lentamente lo lascio andare, quando si avvicina a lei ripulisce la lastra di marmo come se la stesse accarezzando, come se fosse la sua pelle, nei suoi occhi vedo una forma infinita di rispetto e di amore, lontano mentre osservo, mi chiedo se provi a baciarla, mi chiedo se baci il vento, mi chiedo se pianga quando non lo vediamo, mi chiedo come possa sorridere e respirare.

Quando penso a mio nonno mi vengono in mente i fiori, le sigarette, le lucciole, i coltelli da caccia e l’odore delle cartucce, la sua pancia gonfia dentro alla bara di legno con l’odore forte dei fiori e dell’obitorio, mi viene in mente lui che ride e io che rido tantissimo, mi viene in mente la guerra e l’odore dolce e familiare dei ristoranti economici, poi lo vedo, piegato su di lei, mentre accarezza il marmo gelido cercando forse la sua pelle, i suoi capelli, la sua voce, il suo calore.

Adesso mi chiedo chi le porterà tutti quei fiori, adesso mi chiedo dove possa essere finito tutto quell'amore, penso che dovrei mettermi a cercarlo, penso che non debba andare sprecato, penso di avere gli strumenti adatti, mi servirà una trivellatrice o forse una vanga, dei sensori, dei sonar, una tuta spaziale e una da palombaro, sono sicuro che lo troverò, credo di averlo cercato per tutta la vita.