Pedro Lucenti, tratto da: Il podere Lucenti, romanzo in corso

Un giorno Pedro Lucenti pestò la testa di un uomo con i suoi stivali neri più belli.


Era arrivato la mattina presto accompagnato da due dei suoi servitori, uno era una specie di arabo, l'altro un lucchese che si diceva avesse ammazzato dieci uomini.

La faccia sotto al suo stivale dava una sensazione strana, non era come pestare qualsiasi cosa avesse pestato prima, stava pestando qualcosa di vivo, di morbido e duro, il tacco a volte scivolava lasciandosi scivolare dalla pelle che per brevi movimenti si muoveva sul teschio, la bocca sembrava di sentirla, era sicuro di percepire la morbidezza delle labbra, la solidità apparente dei denti, poi c'era il naso, quando spingeva un po' più forte l'uomo urlava e allora Pedro si divertiva anche a vedere le reazioni che poteva scatenare con un semplice movimento dei suoi stivali migliori.

Il volto dell'uomo steso a terra era tutto pieno di sangue, gli occhi erano spenti e doveva essere difficilissimo tenerli aperti a causa della ferita che sanguinava dalla fronte e scendeva giù giù quasi accecandolo e sopra c'era Pedro Lucenti che stava cercando di spiegare a modo suo che nessuno lo doveva fregare perché uno dei suoi contadini gli aveva detto che una serva gli aveva detto che aveva visto Giuliano Sterpi rubare due sacchi di grano che erano sacchi del grano che Giuliano aveva coltivato nei campi di Pedro e che quindi erano di Pedro che quindi gli diceva, quanti anni è che lavori per me? Quanti anni di fiducia, quanta carità, quanta bontà hai ricevuto?

Non parli? Non rispondi? Ti sembra questo il modo di dimostrare la tua riconoscenza?

E poi aveva alzato lo stivale dalla faccia dell'uomo solo per tirargli un calcio in pancia e farlo mugolare e dire non capisco, sei un uomo o un cane? Gli uomini parlano, i cani latrano.