Algeri

Avrei bisogno di una stanza ad Algeri e di guardare il sangue che si mischia lentissimo al tempo.

Avrei bisogno di sentire i colpi impattare contro al mio corpo la carne lacerarsi e respingere e delle masse enormi che impattano in forma perfetta e caotica, la violenza la ferocia, il furore che poi a un certo punto diventano vita, e poi uno scorrere di grida, una specie di boato fortissimo che sembra riempire ogni cosa in un caldo insopportabile nelle mura che sembrano sudare nelle stanze più anguste dove guardare lo spettro di Craxi unirsi al corpo di William Burroughs in una caccia interminabile fino alle fonti del Nilo per ricordarsi come pellicole sbiadite i ricordi, il sangue, il tempo, il ricordo del sangue.

A una certa ora del giorno un'eco lontano di Majakowskij sembra inciampare, un Dio che non si regge piú in piedi e poi cade e poi Marinetti che passa come un sospiro come lo scricchiolio del legno quando la notte si riempie di tutti quei rumori inspiegabili e che forse i futuristi sussurravano una specie di pernacchia nella caccia furiosa della modernità che poi ci ha fatto diventare così moderni da diventare antimoderni e poi il vuoto, distese di deserti giallognoli dove la luce sembra che prenda delle forme più pure, della polvere, del niente, il sangue che diventa polvere, che diventa, tempo che divents niente ma che sale, come una nebulosa, come una foschia triste.